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Sono lavoratrici, donne in carriera, ricercatrici, mamme, spiriti liberi, persone pragmatiche e
coraggiose; hanno paure, sogni, cicatrici, richieste e molti desideri. Sono le donne italiane in
Svizzera. La presenza italiana in Svizzera ha percorso tutto il Novecento ed è tuttora ancora
molto viva. Molte donne hanno deciso di trascorrere qui la propria vecchiaia, altre sono
arrivate da poco e sono ancora smarrite, altre ancora sono qui da qualche anno e hanno
finalmente trovato ciò che cercavano. Le traiettorie migratorie sono tantissime, diverse tra
loro. La maggior parte di queste donne ha dovuto lasciare il proprio paese per ragioni
economiche, alcune lo hanno fatto per libera scelta. Tutte hanno avuto coraggio e si sono
battute per raggiungere i propri obiettivi. Le donne italiane provengono da tutta le regioni
della Penisola, spesso anche da molto più lontano, mentre altre sono nate qui in Svizzera.
Queste donne, come quelle appartenenti ad altre minoranze migranti, forniscono un
contributo culturale, sociale ed economico fondamentale per la società svizzera. 

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LIBERE DI DOVER PARTIRE

La migrazione italiana in Svizzera al femminile

di MATTIA LENTO e MANUELA RUGGERI

ISTRUZIONI: scrollare verso il basso e attivare l’audio per usufruire dei contributi multimediali suddivisi in nove capitoli.









La presenza italiana al femminile in Svizzera ha una lunga tradizione. Per decenni le donne italiane sono però rimaste pressoché invisibili.

Insieme alle donne di altre nazionalità hanno contribuito allo sviluppo economico, sociale e culturale della Svizzera e si sono anche battute per cambiare le cose.

Oggi le traiettorie migratorie al femminile sono diventate più complesse rispetto al passato.



Oggi come ieri, però, le donne italiane emigrano in Svizzera soprattutto in cerca di lavoro e di realizzazione personale.

Oggi come ieri sono Libere di dover partire ...

9 ritratti di donne per raccontare la presenza italiana al femminile in Svizzera

La piattaforma è nata da una proposta del Comites di Zurigo ed è stata ideata, elaborata e realizzata grazie al contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

IL FIGLIO LONTANO

Maria Antonietta Freda è emigrata in Svizzera nel 1964 ed è stata costretta a separarsi dal suo bambino

Prima di partire per la Svizzera lavoravo in una fabbrica dove si confezionavano guanti. Ci davano 150 lire al giorno.
Mia madre mi diceva che i soldi non bastavano nemmeno per un paio di calze.
Ho conosciuto mio marito nel 1961. Lui lavorava già in Svizzera.
Nel 1962 ci siamo sposati, avevo vent'anni. Il tempo di fare il passaporto e siamo partiti per la Svizzera.
Quell'anno faceva così freddo che a Zurigo è gelato il lago. Io ero incinta e ho preso una forte angina. Ho perso la voce per cinque mesi e il dottore mi ha consigliato di stare al caldo per guarire. E sono tornata al sud.

Ha dovuto lasciare suo figlio in Italia

Dopo il parto ho dovuto lasciare mio figlio a mia madre a Benevento, perché non era possibile portarlo legalmente con me in Svizzera.
Sapevo che lo avrei rivisto soltanto in estate e a Natale.
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A Roma sarei scesa dal treno, ma ...
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Se l'avessi saputo sarei rimasta in Svizzera per partorire; ma qui non conoscevo nessuno, ero sola. E quando mio figlio aveva sei mesi sono partita di nuovo per la Svizzera senza di lui. Sono partita perché avevo paura che mio marito senza di me si sarebbe ricostruito una nuova famiglia.
Ogni settimana gli scrivevo una lettera e ne aspettavo una di ritorno.

Per rielaborare la sofferenza Maria scriveva poesie. La lontananza, scritta in treno durante la partenza, parla del dolore causato dalla separazione forzata da suo figlio.





Ho cominciato a cucire a mano: "Näharbeit". Lavoravo come una matta. Facevo straordinari, lavoravo di sabato, mi portavo il lavoro a casa. Mangiavo male e poco. Fino a che un giorno mi sono ammalata. Il pensiero di questo bambino non mi lasciava.
La seconda gravidanza paradossalmente mi ha salvato da una grave anemia.

In quanto madre lavoratrice, non avendo una stanza apposita per il figlio, Maria Antonietta è stata costretta a metterlo in un istituto per l’infanzia, giorno e notte.

Dopo qualche mese è riuscita a riportare a casa il suo piccolo dall'istituto e a portare in Svizzera, a tre anni di età, anche il suo primogenito.

Maria è diventata prima nonna ...

... e poi bisnonna. Ha una grande famiglia, composta da 22 persone, che le sta sempre accanto. 

Maria ha da tempo trovato stabilità e serenità, ma le cicatrici sono rimaste fino a oggi.

Per approfondire:

La storia di Maria è quella di tante madri costrette a separarsi dai propri figli o a nasconderli in Svizzera. La legge elvetica, il famigerato Statuto di stagionale (1931-2002), rendeva praticamene impossibile il ricongiung­imento famigliare durante i primi anni di soggiorno nel paese. Lo Statuto è il simbolo di una politica migratoria disumana che ha causato numerosi traumi infantili. Sono molte le testimonianze di ex bambini che hanno raccontato della propria vita lontano dai genitori o da "clandestini" in Svizzera. Il punto di vista delle madri è stato preso poco in considerazione.

RICOMINCIARE DALLA SVIZZERA

Angela Siciliano è emigrata a Zurigo con il marito e una delle due figlie in cerca di lavoro



Non ho mai pensato di venire a vivere in Svizzera. Grazie a tre cugine di seconda generazione, ho cominciato a fare qui dei mercatini di Natale. Con l'idea poi di tornare in Italia.

Le creazioni di Angela

Uso materiali di scarto, tutto quello che è da buttare via. Li riutilizzo per fare borse, scarpe, portachiavi, etc..
Riutilizzo il materiale che trovo nel posto dove vivo. Qui faccio per esempio borse con vecchi sacchi di juta per il caffé.
Sono partita dapprima da sola. Mio marito, Michele e le mie due "ragazze", le mie figlie, sono rimaste in Puglia. In Italia la situazione era difficile.

Angela ha poi trovato lavoro fisso come aiuto cuoca in centro a Zurigo. Nel quartiere di Wipkingen.

La domenica preparo il brunch da sola. In bassa stagione faccio circa 30 porzioni di uova in alta sono 60.



Angela non parla molto bene il tedesco, eppure è diventata in pochi anni un punto di riferimento per il quartiere . Grazie anche al suo lavoro ha conosciuto tantissime persone, ha stretto amicizie, ha aiutato persone in difficoltà, ha saputo ritrovare quella facilità di relazioni che la contraddistingueva nella sua amata Puglia.

Ma le condizioni di lavoro non sono facili. Il salario è molto basso per Zurigo anche se è migliorato nel tempo: ora arriva a 23.9 franchi all'ora.
Il contratto collettivo della gastronomia non prevede però l'aumento dello stipendio in rapporto all'avanzare dell'età.



Angela, da donna migrante, si batte per chi non ha diritti: i migranti extraeuropei che fuggono da miseria e guerre.

Per approfondire:

Quando si parla di nuova migrazione italiana si fa spesso riferimento ai “cervelli in fuga” e a persone giovani. Se è vero che in Svizzera la migrazione italiana è particolarmente qualificata, oggi sappiamo però che dall’Italia si emigra ancora alla ricerca di lavori non sempre altamente qualificati. Spesso si emigra con tutta la famiglia. La storia di Angela è da questo punto di vista esemplare: ha convinto il compagno a trasferirsi in Svizzera con una delle due figlie nel 2016. La crisi economica congiunturale in Italia ha giocato un ruolo importante nella sua scelta.

Link:

IO RESTO QUI

Adriana Fiasco, dopo una vita di lavoro, ha voluto rimanere in Argovia vicino ai figli e alla nipote.

È bellissimo essere nonna

Sono stata tanto con mia nipote perché mia figlia lavorava. Ho potuto dare a mia nipote quello che non ho dato ai mei bambini, perché anche io ho sempre lavorato tanto.



Con le amichette e la mamma, mia nipote, parla svizzero tedesco, che io tutt'ora non capisco. Mi dà molto fastidio che stia perdendo l'Italiano...





Mia mamma era emigrata dal Veneto alla Svizzera. Dopo la mia nascita non mi poteva tenere con sé perché era ragazza madre e non aveva nessuno che l'aiutava.



Sono cresciuta con i nonni nel Veneto in una fattoria. Ho avuto un'infanzia felice.
Vedevo mia madre una volta all'anno...
A 18 anni volevo la mia indipendenza e sono andata da mia zia a Dottikon, nel Canton Argovia. Nel 1971 ho cominciato a lavorare anche io come lei nella fabbrica Bally.



Per me era una meraviglia. Ci lavoravano forse anche più di 500 persone. La maggioranza erano italiani e italiane. Mi sentivo a mio agio.
Mettevo la colla nei bordi della tomaia, la suola. Ritagliavo prima la suola con un modello. Poi mettevo le fettuccine. Prendevo il bordo e facevo il bordino della scarpa. Facevo tutto a mano perché doveva essere una cosa perfetta. Facevo un "Buckerei" come si dice in tedesco. La piegatura delle scarpe.



Tante altre donne lavoravano con le macchine per cucire. Il mio invece era un lavoro che potevo fare direttamente con le mani. Avevo la mia postazione e i miei strumenti. Mi sentivo molto gratificata.







Alla Bally ci sono stati tanti fidanzamenti, che sono durati fino ad oggi. Da prima sono venuti a lavorare i genitori, ma poi mano a mano hanno cominciato a lavorarci i figli.
Anche mio marito lavorava alla Bally: il nostro è stato amore a prima vista.
Dopo la seconda gravidanza ho smesso di lavorare in fabbrica perché volevo crescere i miei figli. Ma mi piaceva così tanto ciò che facevo che ho avuto la possibilità di portarmi il lavoro a casa.
Mi portavano i materiali a casa e potevo fare lo stesso lavoro che facevo in fabbrica. Anche se è stato stressante, l'ho fatto con amore.



Purtroppo, con mia grande tristezza, dopo otto anni la Bally di Dottikon ha chiuso.
Il mio sogno era sempre di poter avere un piccolo giardino. Ma abitando in Svizzera non potevo permettermelo. E invece all'età di 60 anni il mio sogno si è avverato.









Per approfondire

Restare o ritornare a casa? Questo è stato un dilemma per buona parte delle persone italiane emigrate in Svizzera nello scorso secolo. Molti hanno deciso di rimanere e di trascorrere qui la vecchiaia. La popolazione italiana in Svizzera è diventata così piuttosto anziana rispetto alle altre minoranze migranti. A partire dagli anni Novanta ci si è resi conto che una parte consistente dell'immigrazione si era trasformata in popolazione insediata stabilmente. Adriana Fiasco, dopo una vita di lavoro per il famoso calzaturificio Bally, è rimasta in Svizzera con il marito ed è una nonna molto impegnata.

Link:

UN MANIFESTO E TANTE BATTAGLIE

Rosanna Ambrosi si è battuta a favore dei diritti delle donne migranti e dei loro figli



Insegnante, scrittrice e attivista. È stata tra le autrici del MANIFESTO DELLE DONNE EMIGRATE (1975) che ha saputo precorrere i tempi.

A partire dalla fine degli anni Sessanta sono entrata a far parte del gruppo dirigente delle Colonie libere italiane. C'era bisogno di noi donne, perché le Colonie erano dominate dagli uomini.



Alla fine degli anni Sessanta, all'interno delle Colonie libere, si sono formate commissioni femminili molto attive e influenti.

Il primo Convegno della donna emigrata del 1967 a Olten ha aperto una stagione di rivendicazioni delle donne italiane in Svizzera







Per quel convegno e negli anni successivi sono state organizzate varie iniziative, sono stati condotti studi e inchieste che portarono alla luce i problemi specifici della donna migrante. Le donne italiane rafforzarono infatti le richieste del movimento dei lavoratori migranti, ma in più aggiunsero del loro rivendicando la parità di genere, una migliore formazione, strutture per l'infanzia, maggiore spazio sul lavoro e nella società ...

Le donne emigrate in Svizzera si fecero sentire anche in Italia: Rosanna Ambrosi (all'epoca Rosanna Zanier) nel 1968 intervenne in qualità di delegata alla Conferenza sull'occupazione femminile di Roma.

Sul tema della scuola e della discriminazione dei figli dei lavoratori italiani, inseriti spesso in classi separate e considerati alunni di serie B, Rosanna Ambrosi e molte altre donne italiane si sono a lungo battute: hanno prodotto materiali informativi, sono entrate negli organi decisionali della scuola svizzera e hanno fatto pressione a più livelli. Le loro idee sono alla base dell'inclusione scolastica praticata oggi in molti sistemi scolastici cantonali.

Le donne delle Colonie Libere Italiane collaborarono sistematicamente anche con altre minoranze migranti, in particolare con le donne spagnole, e intrattennero rapporti con alcune associazioni femministe svizzere.

Il Manifesto delle donne emigrate (1975)

Nell'anno internazionale della donna, le attiviste delle Colonie libere italiane furono promotrici, insieme a donne appartenenti ad altre minoranze nazionali, a femministe svizzere e a un gruppetto di uomini solidali, di un’iniziativa straordinaria. Suddivise in gruppi di lavoro, uno dei quali guidato da Rosanna Ambrosi, scrissero un documento all’avanguardia sulla condizione delle donne straniere: il Manifesto delle donne emigrate.









Tra le varie iniziative portate avanti da Rosanna Ambrosi e dalle sue compagne, la creazione del consultorio per le donne migranti (CONDIEM) è stata sicuramente la più importante e ha seguito di poco la stesura del Manifesto del 1975.

Poi è finito tutto. E non so perché. In realtà perché era troppo difficile, perché tutte queste donne avevano tre impegni: i figli, la casa e il lavoro. Non era possibile portare avanti tutto. Allora i servizi sociali a sostegno delle donne erano molto peggiori di oggi.





Per approfondire

Nel 1975, anno internazionale della donna, Rosanna Ambrosi è tra le promotrici di un’iniziativa straordinaria. Dopo aver partecipato al deludente Congresso delle Associazioni femminili svizzere ed essere state invitate al contro-congresso del Nuovo movimento femminista svizzero, le donne migranti decisero di organizzare un congresso tutto loro a Zurigo. Nel febbraio del 1975, 180 donne di origine migrante, supportate da un gruppo di uomini e di donne svizzere, si riunirono per discutere dei propri problemi. Si suddivisero in gruppi di lavoro, uno dei quali gestito da Rosanna Ambrosi, e insieme scrissero un documento all’avanguardia sulla condizione della donna migrante: il Manifesto delle donne emigrate (Manifest ausländischer Frauen). Questo manifesto fu in grado di precorrere i tempi per la sua analisi intersezionale delle discriminazioni ed è tutt’oggi una pietra miliare della storia del femminismo in Svizzera. Il manifesto affronta il tema del lavoro, della protezione della maternità, della parità tra uomo e donna, il problema scottante del ricongiungimento familiare, e quindi dello Statuto dello stagionale, il problema abitativo, quello della difficoltà di essere madri e lavoratrici in ambito migratorio e, inoltre, prende posizione sul doppio carico di lavoro della donna: i lavori domestici e di cura e il lavoro retribuito in contesti industriali o nel terziario. Si parla anche di strutture per l’infanzia, di sistema scolastico, di malattie di origine sociale come l’esaurimento nervoso, di isolamento sociale, di formazione professionale, di educazione sessuale e, non da ultimo, di diritti politici.

PER TUTTE LE DONNE

Eleonora Failla, dopo anni di precarietà, ha trovato serenità ed è diventata un'attivista femminista



Da donna migrante mi batto per i diritti delle donne lavoratrici. Purtroppo siamo costrette ancora a scendere in piazza.
Sono arrivata nel 2012 in Ticino. Ho dovuto mettere da parte la mia tesi di laurea di 170 pagine e cercare un lavoro al di sotto delle mie qualifiche: ho fatto la venditrice a Bellinzona. Mi hanno poi però licenziato ingiustamente.



Nella mia tesi ho analizzato le discriminazioni del mondo del lavoro anche in Svizzera.

Arrivando in Ticino ha dovuto fare i conti con la realtà studiata sui libri. Questa esperienza le ha aperto gli occhi su molte ingiustizie di genere e le ha fatto conoscere meglio la realtà elvetica.

Sono stati anni molto duri, con la spada di Damocle del permesso di soggiorno sempre a rischio a causa del lavoro intermittente.

Poi finalmente è arrivato il lavoro come insegnante di italiano per i richiedenti asilo che le ha aperto nuove prospettive.

Oggi grazie al mio percorso sono anche una militante sindacale molto attiva e faccio parte della rete femminista ticinese Nateil14giugno, una delle tante realtà che ha dato vita agli scioperi delle donne del 14 giugno 2019 e 2023.

Cosa vogliono ottenere Eleonora e le donne della rete Nateil14giugno?

Con rammarico stiamo preparando un altro grande sciopero femminista per il 14 giugno 2023. Spero che mio figlio non dovrà scendere in piazza ancora tra 20 anni. È una lotta lunga.

Per approfondire

La Svizzera, uno degli ultimi paesi in Europa ad aver introdotto il diritto di voto per le donne nel 1971, non è certo un paese modello in materia di parità di genere. Il movimento delle donne è stato protagonista negli ultimi anni della scena politica elvetica perché, nonostanti i numerosi progressi, sono ancora molte le discriminazioni in atto. Gli scioperi delle donne del 14 giugno 2019 e 2023, ispirati a quello del 1991, hanno portato in piazza centinaia di migliaia di donne e uomini solidali. Moltissime donne di origine migrante sono state protagoniste di questo movimento. Eleonora Failla, attivista sindacale e femminista, è stata una di queste.

Link:

INGEGNO, IMPRESA E SOSTENIBILITÀ

La tecnologia inventata e brevettata da Michela Puddu potrebbe cambiare nel profondo il settore tessile





Durante il dottorato di ricerca in Ingegneria Chimica presso il Politecnico Federale di Zurigo (ETH), insieme a un collega ha inventato la tecnologia Haelixa e successivamente ha fondato l'azienda omonima con l'obiettivo di accelerare la transizione globale verso catene di fornitura di beni di consumo più trasparenti.

L'azienda utilizza soluzioni di tracciamento intelligenti basate sul Dna per garantire pratiche industriali etiche e trasparenti, con particolare attenzione ai prodotti sostenibili come il cotone biologico.



Cosa fa esattamente Haelixa?

Nel 2019 ho vinto il premio europeo Women Innovators nella categoria "under 35". Questo ha dato tantissima visibilità a tanti anni di lavoro e di sforzi.



Il mio percorso non è sempre stato facile. Ci sono stati anche momenti di scoramento. All'inizio c'erano tante difficoltà legate all'avvio dell'azienda.







Oggi l'azienda ha 20 dipendenti e faccio parte del consiglio di amministrazione della Swiss Textile, l'Associazione svizzera degli imprenditori tessili, come unica donna.
Recentemente, con una grande catena di moda italiana, abbiamo iniziato un progetto sulla tracciabilità del cotone biologico italiano. Un progetto tutto nuovo che ha riportato la produzione del cotone in Italia dopo tanti anni.
È stato emozionante vedere per la prima volta il cotone piantato in Sicilia. Con la nostra tecnologia vogliamo tracciare il cotone dalla raccolta fino all'indumento finito.



Al giorno d'oggi vediamo che la sostenibilità è ancora per pochi, ma vediamo anche che stiamo evolvendo verso una condizione tale per cui sarà un elemento necessario per poter fare business, in particolare nel campo della moda.
Per me lavorare nella sostenibilità vuol dire l'opportunità di contribuire a creare un benessere sociale, ambientale, economico e quindi lasciare alle generazioni future una qualità della vita più alta di quella di oggi.
In generale vedo il mio futuro qui in Svizzera. Con il mio partner abbiamo appena creato una famiglia qui.

Per approfondire

Le donne italiane che emigrano in Svizzera sono sempre più qualificate. Molte di queste hanno ruoli dirigenziali di alto livello nell'industria, nel settore terziario e nella ricerca. Secondo uno studio condotto da Philippe Wanner e Rosita Fibbi, le donne italiane arrivate in Svizzera dal 2010 in poi sono più qualificate degli uomini (51% di laureate contro il 43%). Molte delle donne con formazione accademica occupano posti di lavoro nel terziario avanzato, in particolare nelle aree metropolitane di Zurigo e di Ginevra. Le donne che fanno carriera in Svizzera si sono formate in Italia oppure, come Michela Puddu, hanno studiato o conseguito un dottorato di ricerca in Svizzera.

Link:

CURARE ATTRAVERSO L'ASCOLTO

La ginecologa e ricercatrice italo-somala Jasmine Abdulcadir cura le donne e le bambine che hanno subito mutilazioni genitali

Jasmine si è già presa cura di centinaia di donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili (MGF).

“Nel 2010 ho aperto un ambulatorio presso gli ospedali universitari di Ginevra per accogliere e trattare donne e bambine.

“ Riceviamo fra le venti e le trenta pazienti ogni mese per diversi motivi”

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«Spesso quando si parla di MGF si pensa soltanto all’infibulazione, ovvero al restringimento dell’orificio vaginale attraverso sutura. In realtà non è la pratica più diffusa e rappresenta il 15% del totale. Molto più comune è la rimozione parziale della parte più esterna della clitoride. In entrambi i casi, comunque, l’intervento chirurgico ricostruttivo, se non ci sono complicazioni, non è difficile da effettuare».







Ci sono varie credenze legate alle MGF. In alcune comunità si pensa che la clitoride sia un organo che può crescere e rendere una donne incontrollabile.
C'è una rappresentazione molto stereotipata della donna con MGF.
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Una vita senza dolore

Riconoscere e curare le conseguenze delle MGF significa restituire una vita senza dolore, con flusso urinario e mestruale normali, significa partorire fisiologicamente. Vuol dire rinascere!

Il suo impegno le è valso il titolo di Cavaliere della Repubblica italiana.



La spinta per il mio impegno è legata alle mie radici. Mio padre, di origine somala, è il primo di 17 figli, di cui sette sorelle con MGF.
Il miei genitori sono stati i primi a occuparsi di questo fenomeno in Italia. Entrambi sono ginecologi e sono stati i primi ad aprire un ambulatorio per la prevenzione e la cura delle MGF.

Per approfondire

Sono molte le donne italiane emigrate in Svizzera impegnate nella ricerca. Jasmine Abdulcadir è una di loro. La ginecologa è infatti impegnata sia a livello clinico, sia a livello scientifico e didattico presso l'Università di Ginevra. Si occupa di mutilazioni genitali femminili (MGF) ed è una luminare in questo ambito. Le MGF consistono nell'escissione parziale o totale degli organi genitali femminili esterni. Le ragioni di queste pratiche variano da regione a regione. Le MGF sono diffuse in tutto il mondo. Almeno 200 milioni di persone sono state sottoposte a questa pratiche. Più della metà delle donne mutilate nel mondo proviene da Indonesia, Etiopia ed Egitto. A causa dei flussi migratori e del legame tra alcune diaspore e i loro Paesi d'origine, le mutilazioni genitali sono diventate un fenomeno globale, presente anche nei Paesi occidentali. Le MGF sono illegali in tutta Europa.

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RINASCERE E LOTTARE

Domenica Priore è nata e cresciuta in Svizzera da genitori italiani. A 34 anni ha definitivamente accettato la sua identità e ora è un'attivista LGTBQIA+



Non sono solo trans, non sono solo lesbica, non sono solo donna, non sono solo operaia, non sono solo straniera. Sono tutto in uno.
A sei anni ho scoperto di essere diversa e avevo paura di essere scoperta. Come reazione mi sono chiusa in me stessa.
C'ho messo 34 anni ad accettare come sono.
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Volevo continuare a fare l’idraulica.
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Con la transizione sono rinata. Sono diventata per la prima volta una persona estroversa e ho trovato la forza di aiutare altre persone come me.
L'amore è molto difficile se sei una persona trans omosessuale.
Il mio sogno è che tutti siano visti e accettati come persone e non come donne o uomini, omosessuali o eterosessuali, non binari o transessuali.

Per approfondire

Vivere l'omosessualità o la transessualità nei contesti dell'emigrazione italiana non era per niente facile. Alle difficoltà dovute a fenomeni di discriminazione e precarietà, si sommavano infatti le pressioni dovute al sistema patriarcale, forte anche tra le comunità italiane, che non permettevano di vivere con serenità le proprie inclinazioni di genere. A quanto ci risulta sono poche le ricerche che si sono occupate però del tema, quantomeno per il contesto svizzero e in rapporto ai contesti migratori italiani. La storia di Domenica Priore dimostra però che, a dispetto degli stereotipi, anche tra le file delle famiglie italiane di lavoratori in Svizzera c'era spazio per la tolleranza e l'apertura. I genitori di Domenica, infatti, hanno accettato la scelta della figlia e continuano ad avere un buon rapporto con lei.

Bibliografia:

Cannamela - Mauriello - Minerva (a cura di), Italian Trans Geographies, New York, 2023

RIPARTIRE DA ZERO

Francesca Fabris è arrivata a 12 anni in Svizzera tedesca. Adattarsi al sistema scolastico svizzero non è stato facile.

In Veneto ho trascorso un'infanzia felice.
Mio padre ha cominciato a lavorare sempre più lontano da casa - prima a Milano e poi Zurigo.
Avevamo appena finito di costruire una casa bella e grande in campagna vicino alla famiglia allargata. Ma poi abbiamo deciso che era più importante stare tutti insieme.
In Italia sognavo di andare al liceo classico.
Qui invece ho dovuto ricominciare da capo: non parlavo una parola di tedesco.

Con il tempo le cose si sono aggiustate per il meglio.

La mia amica americana, con la quale abbiamo condiviso il percorso scolastico fino alla fine delle medie, ha avuto meno possibilità di me.

L'emigrare cambia come si guarda al mondo.

Il mio futuro? Altrove...

Per approfondire

La formazione in Svizzera è fortemente in mano ai Cantoni. Ogni sistema scolastico cantonale ha le sue peculiarità, i suoi pregi e i suoi difetti. Tuttavia è possibile individuare alcune caratteristiche generali del sistema scolastico svizzero. Innanzittutto occorre dire che la Svizzera investe molto nella formazione, a tutti i livelli, e tende a valorizzare anche i percorsi formativi più orientati al lavoro. La Svizzera è conosciuta per il suo sistema duale, uno specifico modello di formazione professionale che prevede l’alternarsi di momenti formativi in aula e momenti di formazione pratica in contesti lavorativi. Questo sistema ha elementi positivi: valorizza le competenze manuali e riduce gli abbandoni scolastici. Tuttavia, il sistema scolastico è molto selettivo dal punto di vista sociale ed è molto difficile per i figli delle classi sociali più basse, soprattutto di origine migrante ed extraeuropea, accedere alla formazione liceale e quindi a quella universitaria. I cantoni più problematici da questo puinto di vista sono quelli della Svizzera tedesca.

Link:









Credits



LIBERE DI DOVER PARTIRE è stata concepita e realizzata da Manuela Ruggeri e Mattia Lento. La piattaforma è nata da una proposta del Comites di Zurigo ed è stata ideata, elaborata e realizzata grazie al contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.









Un ringraziamento a tutte le nostre protagoniste, agli enti sostenitori, all'ospedale universitario di Ginevra, al café bar Nordbrücke. Inoltre ringraziamo Rita Lanz, Silvana Fusi, Umberto Ruggeri, Aude Spang, Marilia Mendes, Rosita Fibbi, Samuel Bollendorf, Moritz Zumbühl, Alice e Stefania Fiasco, Bruno Bollinger, Kristina Schulz e il personale degli archivi che abbiamo consultato.



Link:

www.comiteszurigo.ch

www.mad-frame.com

engagement.migros.ch/de

www.journafonds.ch

www.unia.ch



I produttori & creatori

Manuela Ruggeri, regista, autrice, fondatrice e responsabile di madframe production, realtà attiva nell'ambito della produzione video e documentaristica.

Mattia Lento, giornalista, storico del cinema e autore, lavora per Area e collabora con diverse testate e media. Ha realizzato documentari per la radio e la televisione.

Archivi

SBB Historic

Bahnhof Chiasso: Personen- und Güterverkehr, R_1166_03, 19.06.1946

Bahnhof Chiasso: Personenverkehr am Ostermontag, R_1920_09, 10.04.1950

Archivi Bally Schuhfabriken AG

00-B-006_07_01_dottikon, 1950s, foto di Wolf-Bender, Zurich

100-B-006_21_02_03_dottikon, 1950s

100-B-006_60_16_dottikon, 1974, foto di H. Roth

100-B-006_19_02_03_dottikon, 1950s

Fotografie private di Adraina Fiasco regalate a suo tempo da Bally alla diretta interessata - ritraggono lei e suo marito nella fabbrica di Dottikon

Archiv für Frauen-, Geschlechter- und Sozialgeschichte Ostschweiz

Bestand Concetta Volpe, AFGO.177, foto di Matteo Cicilano, Addio dei parenti dopo le vacanze. Concetta Volpe e Rachele Cicilano, nel finestrino di sinistra a Cagnano Varano, Foggia. Cagnano Varano 1963

Bestand Paola Widmer, AFGO.220, passeggiata domenicale di giovani italiane

Schweizerischen Sozialarchiv Zurigo

F 5030-Fb-0633, Gewerkschaft Verkauf Handel Transport Lebensmittel, Italienische Arbeiterinnen mit Koffern bei der Einreise in Chiasso

F 5039-Fd-020 Gewerkschaft Textil, Chemie, Papier, Auszubildende (vermitlich eine Ringsinnerin)

F 5031-Fc-1634 Gewekschaft Bau und Industrie, Reisekoffer mit Aufschrift "GBI, von Monnin Patrick

F 5002-Fx-035 Frauenkongress FCLI Zürich, 3. Dez. 1977 - Redner und Rednerinnen an einem Tisch sitzend